lunedì 28 novembre 2011

Sette anziani tra le vittime dell'infermiere killer

Secondo il gip di Tvoli Angelo Scazzi, in carcere per l'omicidio di una collega, avrebbe ucciso alcuni ospiti di una casa di cura con massicce dosi di insulina

"Grave ipoglicemia determinata dalla somministrazione di farmaci". È questo il filo conduttore che ha guidato gli investigatori dell'Unità delitti insoluti della Squadra Mobile di Roma, diretti da Vittorio Rizzi, a chiudere il cerchio investigativo intorno ad Angelo Stazzi. Per lui il gip del Tribunale di Tivoli, Alfredo Bonagura, ha emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere ritenendolo responsabile della morte di almeno sette anziani ricoverati in una casa di cura all'epoca dei fatti.

INSULINA INVISIBILE ALL'AUTOPSIA Puntava al delitto perfetto Angelo Stazzi, "l'angelo della morte". A quanto accertato dagli investigatori della sezione cold case della Squadra mobile, il 66enne iniettava dosi enormi di insulina a pazienti non diabetici che erano per loro fatali. L'infermiere sapeva che il tasso di glicemia nel sangue non era riscontrabile dopo la morte e quindi non poteva essere accertato neanche con l'autopsia. Ad insospettire gli investigatori, che nel 2009 indagavano sulla scomparsa dell'infermiera del Gemelli Maria Teresa Dell'Unto, sette morti per ipoglicemia in 10 mesi all'interno della clinica dove Stazzi lavorava all'epoca. A incastrarlo, però, il ricovero in ospedale di una delle sue vittime, ricoverata in ospedale dopo essere sopravvissuta a una dose di insulina. Dagli esami è emerso che le aveva somministrato una dose di insulina 50 volte superiore al limite riscontrabile. A quanto accertato, inoltre, l'uomo dava agli anziani, tutti tra i 70 e i 90 anni, psicofarmaci per farli cadere in uno stato di torpore.

IL KIT IN CASA Per gli investigatori non c'è un movente che abbia spinto Stazzi a uccidere, ma si tratta di un killer seriale. L'uomo aveva un rapporto morboso con le vittime, al punto da telefonare più volte in ospedale, se erano ricoverati, presentandosi come medico del Gemelli e chiedendo notizie sulle condizioni. L'infermiere era così ossessionato da esporre in una vetrina della sua abitazione di Montelibretti un kit insulina. L'uomo, quando si era accorto nel 2009, che la dirigenza della struttura si stava iniziando a insospettire si é licenziato dicendo che doveva badare ai nipotini. Il 66enne, invece, si era rivolto a un'altra casa di cura "Villa Gregna" dove però ha destato subito sospetti. Lì, infatti, è stato scoperto per aver subito effettuato ordini di insulina alla farmacia della struttura e bloccato da un'infermiera mentre stava per somministrare una dose fatale di insulina a una paziente.

UCCISO ANCHE UN CAGNOLINO Nella sua "furia omicida" ha ucciso anche il cagnolino di una delle pazienti di Villa Alex con una siringa piccola di insulina. A raccontarlo lo stesso Stazzi in una telefonata alla sua compagna. "Gli ho fatto una siringa piccola perché la grande uccide una persona", le avrebbe raccontato dicendo che l'animale "dava fastidio". In un'altra conversazione si vantava di essere "un medico mancato" e ordinava alla donna, che lavorava come badande, di cambiare farmaci e somministrare all'anziana psicofarmaci




Fonte:iltempo.it

venerdì 25 novembre 2011

NON è UN'INFERMIERA!!!


INFERMIERI INLINEA è concorde con la Federazione Ipasvi che denuncia l'ennesimo caso di cattiva informazione ai danni della professione infermieristica. L'assenteista del Sant'Orsola Malpighi è un'ausiliaria!
L’assenteista indagata per truffa aggravata ai danni di enti pubblici e falso ideologico è un’ausiliaria dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant'Orsola Malpighi di Bologna. Ha guadagnato gli onori della cronaca perché ha lavorato solo sei giorni negli ultimi nove anni.
E’ stata a casa per lunghi periodi in malattia e in maternità, solo che, a quanto risulta, la donna non ha mai avuto quei figli, anche se ha esibito le relative certificazioni (che sembra siano false).
Il problema, di deprecabile malasanità, purtroppo ha coinvolto di riflesso la professione infermieristica perché alcune testate e alcuni servizi televisivi (in realtà una minoranza) hanno qualificato l’operatrice come “Infermiera” o come “Infermiera ausiliaria”, dimostrando una grave ignoranza del mondo sanitario e delle figure che vi operano.
Una tale confusione non solo fornisce un’informazione scorretta ai lettori, ma danneggia anche fortemente l’immagine degli infermieri italiani, che svolgono con abnegazione e serietà il proprio lavoro.
Un lavoro che oggi richiede un impegno particolarmente gravoso,  date le condizioni critiche in cui versa il nostro sistema sanitario.
La Federazione, in accordo con il Collegio di Bologna, sta valutando le azioni da intraprendere a tutela della professione.



sabato 19 novembre 2011

I super batteri minacciano l’Europa

BRUXELLES - Ci si preoccupa tanto dei virus esotici che si affacciano di tanto in tanto all’orizzonte e di quelli influenzali che potrebbero dare origine a pandemie ben più gravi di quella da H1N1, ma in Europa ci sono già infezioni che fanno 25.000 morti l’anno e contro cui perfino la medicina moderna, con tutta la sua tecnologia e il suo armamentario farmacologico, si scopre impotente: sono le malattie da microrganismi resistenti agli antibiotici, una minaccia che non riguarda più solo i malati ricoverati in ospedale.

I DATI- I dati presentati ieri a Bruxelles, in occasione della Giornata di sensibilizzazione al corretto uso degli antibiotici, da Marc Sprenger, direttore del Centro europeo di controllo delle malattie (ECDC), sono inquietanti. L’allarme riguarda vari microrganismi ma soprattutto l’aumento in Italia di ceppi di Klebsiella pneumoniae resistenti agli antibiotici. Di per sé il batterio è una causa comune di infezioni respiratorie e delle vie urinarie, ma diventa molto minaccioso quando non risponde ai medicinali. «In Italia sta crescendo in maniera sensibile la percentuale di infezioni da Klebsiella pneumoniae che non si riescono a guarire neppure con i farmaci del gruppo del carbapenem, medicinali da somministrare in vena, in ambiente ospedaliero, che rappresentano un po’ l’ultima spiaggia in questi casi» ha spiegato l’esperto. Fino al 2009 il problema sembrava confinato alla Grecia, dove più della metà delle klebsielle isolate in laboratorio avevano queste caratteristiche; in Italia c’erano solo segnalazioni poco più che sporadiche, inferiori al 5% del totale. Ma in pochi mesi queste resistenze si sono diffuse a macchia d’olio, tanto che, nel 2010, i malati che non reagivano neppure a questa cura così aggressiva erano tra il 10 e il 25%. Il germe può essere trasmesso da un malato all’altro dal personale sanitario, quando questo non rispetta le indispensabili norme igieniche, ma può essere presente, senza dare disturbi, anche al di fuori dell’ospedale.
LE STORIE- È il caso di una signora norvegese, di cui è stata raccontata la storia all’incontro organizzato dalla Commissione europea per presentare il nuovo piano d’azione contro la minaccia rappresentata da queste infezioni. Lill-Karin ebbe un incidente automobilistico durante un viaggio in India, dove fu operata e probabilmente contrasse il pericoloso microrganismo attraverso un catetere contaminato. Al rientro in Norvegia venne controllata, come tutti i pazienti provenienti dall’estero: un sistema che permette ai paesi scandinavi di tenere sotto controllo la situazione. Lo screening permise così di riconoscere prontamente la presenza del germe resistente agli antibiotici, che la donna ospitava senza manifestare i segni dell’infezione, ma che da lei avrebbe potuto trasmettersi ai familiari: la paziente fu subito isolata e sottoposta a una cura che può essere tossica ma che in questo caso fortunato riuscì a estirpare il germe. «Siamo abituati a pensare alle infezioni resistenti agli antibiotici come a casi estremi che possono contrarre solo persone anziane o compromesse dal punto di vista della salute, magari ricoverate in rianimazione» commenta l’esperto di fama internazionale. «Invece anche una giovane donna che va incontro a un parto cesareo può essere esposta a questi rischi, se il personale sanitario non è sufficientemente scrupoloso».
NON SOLO IN OSPEDALE- Come travalicano i confini degli Stati, questi microrganismi non hanno tuttavia difficoltà anche a superare le mura degli ospedali: più cresce la loro diffusione, più aumenta la probabilità che malati, parenti e personale li portino a casa con sé e che il contagio avvenga anche al di fuori di un ambiente sanitario. Come è successo a Paolo, un professore universitario cinquantenne senza particolari problemi di salute, che durante una vacanza all’isola di Ponza sviluppò un’infezione delle vie urinarie, curata, senza ulteriori indagini, con l’antibiotico più usato in questi casi, la ciprofloxacina. L’esame delle urine, eseguito davanti all’evidente inefficacia della cura, svelò però un’infezione da Escherichia coli resistente ai più comuni antibiotici (un diverso ceppo dello stesso batterio che questa estate, contaminando i cibi, ha provocato una cinquantina di vittime, per lo più in Germania). Ci sono voluti due mesi e tre diverse cure antibiotiche per riuscire a curarlo, e nessuno sa come abbia contratto l’infezione, non essendo stato mai ricoverato nel periodo precedente.
LE CAUSE- Ma perché proprio nei Paesi mediterranei, Grecia e Italia in testa, queste infezioni sono così comuni? «La prima spiegazione è da ricercare nel ricorso eccessivo e inappropriato agli antibiotici» risponde Sprenger. «I Paesi dove il problema delle resistenze è più diffuso sono anche quelli in cui questi farmaci si consumano di più, probabilmente a causa di ragioni culturali: l’errata convinzione che questi medicinali servano comunque a curare meglio e prima condizioni come raffreddori e influenza che invece, essendo provocati da virus, non sono suscettibili agli antibiotici». Usarli quando non serve, a dosaggi inadeguati o per periodi di tempo diversi da quelli prescritti dal medico serve solo a selezionare, tra tutti i batteri che ospitiamo nel nostro organismo, quei pochi elementi casualmente mutati per essere resistenti, che così proliferano indisturbati senza dover competere con gli altri, distrutti dai medicinali. Parte della responsabilità tuttavia va anche ai medici che li prescrivono con troppa leggerezza, ai farmacisti che li vendono senza ricetta, ai veterinari e agli agricoltori che li usano in maniera impropria per tenere in salute gli animali o favorirne la crescita, pratica questa proibita in Europa dal 2006. Un ruolo non indifferente, per quanto riguarda le infezioni ospedaliere, possono avere poi le condizioni igieniche scadenti che ancora si trovano in alcune strutture, la superficialità con cui medici e infermieri si attengono alle raccomandazioni igieniche o la scarsità di personale che impone di tagliare anche sul tempo da dedicare a lavarsi ripetutamente le mani. Ma la resistenza può dipendere anche dalla presenza di geni capaci di distruggere o inattivare il farmaco stesso e che hanno la caratteristica di trasmettersi direttamente da un batterio all’altro. La presenza di pochi elementi resistenti è sufficiente quindi ad armare gli altri germi, prima innocui, contro gli antibiotici : è il caso del gene chiamato NDM-1 (“metallo beta lattamasi Nuova Delhi”, dalla città in cui per la prima volta è stato isolato). E siccome i germi non hanno bisogno di passaporto per passare i confini, bisogna trovare un altro modo per individuarli e neutralizzarli.
I CONTROLLI- «L’esperienza della signora norvegese insegna quanto sia importante controllare sempre tutti i pazienti provenienti dall’estero» raccomanda il direttore dell’ECDC. Il pericolo infatti viene da qualunque Paese: non solo dall’India e dal Pakistan, dove queste resistenze sono comuni, ma anche dai paesi più avanzati, come nel caso del polacco rientrato in patria e trovato infetto dopo un ricovero in un grande ospedale di New York. Un aspetto di cui si dovrà tenere anche a mano a mano che si realizzerà l’auspicata libera circolazione dei malati tra i diversi paesi dell’Unione europea. La già attiva collaborazione tra i diversi paesi europei e con gli Stati uniti dovrà quindi estendersi sempre di più. E’ questo uno dei 5 punti fondamentali individuati dalla Commissione europea per fare fronte a questa minaccia, ed è significativo che l’iniziativa sia stata sottoscritta all’unanimità anche da quei Paesi per i quali il pericolo è meno grave che in Italia o in Grecia. Le altre linee di intervento sono ovviamente la promozione, attraverso tutti i mezzi possibili, di un uso appropriato di questi farmaci, e lo sviluppo di nuovi medicinali e strumenti per una diagnosi precoce e rapida, a portata di tutti i laboratori. Senza dimenticare quelle semplici misure igieniche, come lo scrupolo nel lavarsi le mani, soprattutto da parte del personale sanitario, che si sa essere il miglior presidio contro questa minaccia.
I SUCCESSI- «Tra tante brutte notizie infatti» ha concluso il direttore degli ECDC, «ce n’è almeno una incoraggiante: nel 2010, 7 paesi europei hanno registrato un calo nei tassi della più importante causa di infezioni resistenti agli antibiotici che si possono contrarre in ambiente ospedaliero o comunque nel corso di trattamenti sanitari, quella da stafilococco resistente alla meticillina, il cosiddetto MRSA (Meticillin Resistent Staphylococcus aureus)». Tra questi “magnifici sette” c’è la Grecia, ma non l’Italia, dove invece la tendenza è ancora in crescita e dove più di un’infezione grave da stafilococco su 4 è provocata da questi germi resistenti. C’è da sperare che l’iniziativa della Commissione europea, il cui programma andrà attuato nei prossimi 5 anni, possa arginare la diffusione di questi superbatteri, che già oggi, oltre al loro carico in termini di vite umane, costano ogni anno più di un miliardo e mezzo di euro.
Roberta Villa

corriere.it





giovedì 17 novembre 2011

Nuovo metodo per 'parlare' con i pazienti in coma

Nuovo metodo per 'parlare' con i pazienti in coma 'Parlare' con chi è in uno stato vegetativo permanente potrebbe diventare possibile (ed economico). Gli scienziati dell'Addenbrooke's Hospital di Cambridge e dello University Hospital of Liege, Belgio, hanno infatti scoperto che le persone in coma potrebbero essere capaci di capire cosa gli si sta dicendo e seguire le indicazioni per pensare ad alcune cose.

Negli esperimenti degli studiosi sono stati coinvolti 16 pazienti ospedalieri a cui è stato chiesto di immaginare movimenti della mano destra e delle dita. Ad altri 12, stavolta in salute, è stato chiesto di ripetere i medesimi movimenti.
Le onde cerebrali sono state registrate mediante elettroencefalogramma (Eeg), con elettrodi applicati sulla testa che captano l'elettricità dei neuroni che si attivano, e quindi l'attività cerebrale.
A quanto si legge su The Lancet, tre dei 16 malati hanno immaginato in modo "ripetuto e affidabile" i movimenti, sebbene fossero, dal punto di vista comportamentale, del tutto insensibili.
"I nostri risultati dimostrano che l'Eeg è in grado di identificare la coscienza 'nascosta' nei pazienti in stato vegetativo permanente con un grado di precisione molto elevato. Si tratta di una tecnica molto economica e pratica, che potrebbe un giorno essere impiegata per stabilire una routine di comunicazione a 'due vie' con il paziente", ha spiegato Adrian Owen, che ha curato lo studio


Fonte: proterin.net

Ammalarsi d’ansia al Pronto soccorso

Che il lavoro del Pronto soccorso sia oltremodo faticoso e stressante non ci vuole grande acume per intuirlo. E il termine burn-out è ormai entrato nel lessico familiare a coloro che al Ps svolgono la loro attività.
Tuttavia, per fornire elementi concreti di analisi del fenomeno, l’Emergency medicine and care academy ha promosso un’indagine che, attraverso due questionari on line, ha cercato di esplorare le possibili forme di disagio e malessere psicologico derivante dall'attività professionale di medici e infermieri dei Pronto soccorso italiani. I risultati (hanno risposto ai rispettivi questionari 122 infermieri e 293 medici) sono stati presentati a Roma, al Policlinico Gemelli, a margine del Congresso nazionale sulla Buona pratica clinica e ricerca scientifica nell'urgenza-emergenza, che si è tenuto la scorsa settimana al Consiglio nazionale delle ricerche.
Ebbene, dall’indagine è risultato tra l’altro che, in una giornata particolarmente impegnativa, una forte fatica mentale si impadronisce di più della metà degli infermieri (il 54,7%) e dei medici (il 58,7%). Nella quasi totalità degli infermieri (il 96%), inoltre, la fatica del lavoro in Pronto soccorso si manifesta entro le prime quattro ore di servizio.
La postazione di lavoro più stressante, per il 60,9% degli infermieri, è il triage perché quando devono assegnare i codici di priorità diventano facile bersaglio di disappunto e alle volte di collera di pazienti e parenti.
Dalla ricerca è emerso anche che quasi l'8% di infermieri e medici ha dovuto fare ricorso più volte all'uso di psicofarmaci per far fronte a situazioni di disagio o malessere psicologico provocati dal lavoro in Ps. Inoltre, il 9,6% degli infermieri (e il 12,7% dei medici) ammette di andare incontro frequentemente a stati depressivi durante il lavoro. Piuttosto frequenti sono anche i disturbi dell'apparato muscoloscheletrico, gastrointestinale e, ancora di più, i disturbi del sonno; occasionalmente si presentano anche disturbi dell'apparato cardiocircolatorio e del comportamento alimentare.
Il turno più pernicioso per gli operatori è la notte, anche perché è allora che le risorse a disposizione sono ridotte e ci si sente quindi più soli. Una condizione, questa, che può determinare, soprattutto nei più giovani, un’ansia ancora maggiore, con un aumentato rischio di commettere errori.


Fonte : IPASVI.IT

Elicottero del 118 precipita nel Catanese

E' di un morto e quattro feriti, per ora, il bilancio dell'incidente avvenuto in territorio di Raddusa, nel Catanese, dove un elicottero del 118, partito da Caltanissetta e diretto a Messina , è precipitato intorno alle ore 10.
A bordo, due piloti, una paziente, un'anestetista e un infermiere, Antonio Giuffrida (52 anni), che avrebbe una frattura al femore e contusioni varie.
A perdere la vita, secondo i primi dati forniti, sarebbe stato il secondo pilota del velivolo. Il comandante è illeso, ma in evidente stato di choc.
Secondo il il procuratore di Caltagirone, Francesco Paolo Giordano, l'elicottero è caduto dopo un impatto del rotore posteriore con un albero di una vegetazione spontanea. L'elicottero si è quindi schiantato contro una collinetta.
Lo ha affermato dopo un sopralluogo nella zona del disastro aereo, escludendo in maniera certa uno scontro con le pale di un vicino centro eolico.
La paziente trasportata doveva essere trasferita da Caltanissetta a Messina per un'emorragia celebrare come esito di un ictus

INFERMIERI INLINEA si unisce alla Federazione nazionale Collegi Ipasvi ed esprime vicinanza e solidarietà ai feriti e cordoglio ai familiari della vittima.



Renato Balduzzi nuovo ministro della Salute..SPERIAMO BENE....

Stamane il neo presidente del Consiglio, Mario Monti, ha comunicato la lista dei componenti del governo nazionale che si appresta a presiedere dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi.
La scelta del nuovo ministro della Salute è ricaduta su Renato Balduzzi (nato a Voghera nel 1955), illustre giurista esperto di Sanità, che fino ad oggi presiedeva l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). E' inoltre ordinario di diritto costituzionale all'università Cattolica di Milano.
Nel recente passato, è stato consigliere giuridico dei ministri della Difesa (1989-1992), della Sanità (1996-2000) e delle Politiche per la famiglia (2006-2008). In particolare, è stato capo ufficio legislativo ai tempi della "riforma ter" della Sanità datata 1999, con Rosy Bindi ministro.
Il giuramento è previsto alle ore 17 di oggi, nel Salone delle Feste del Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica.
Balduzzi succede a Ferruccio Fazio, medico e titolare del dicastero della Salute dal 15 dicembre 2009. Prima di diventare ministro, nell'aprile del 2008 Fazio era stato nominato sottosegretario alla Salute all'interno del ministero del Welfare e successivamente viceministro.
"Si tratta di un incarico che accetto con grande senso di responsabilità". Questa la prima dichiarazione ufficiale del neoministro Balduzzi all'agenzia di stampa Adnkrnonos Salute


"Si devono reclutare più operatori invece di continuare a mortificarli"

La prima cosa che balza agli occhi è l’incoerenza tra l’incipit “PA volano della crescita” e la definizione degli interventi che si dovranno assumere o, come nel caso del turn over, mantenere. Traspare la reale concezione di fondo: la pubblica amministrazione è, in realtà, abitata da un numero significativo di “fannulloni” a cui bisogna far capire com’è il “vero” mondo del lavoro attraverso strumenti che facciano comprendere che l’epoca dei privilegi è finita. Immediato il pensiero alle condizioni di lavoro degli infermieri.

Pochi visto che in Italia il rapporto per 1.000 abitanti è di 7.7 contro la media europea di 9.8 oltretutto grazie all’apporto di oltre 30mila infermieri stranieri. Il privilegio di dover mantenere e garantire lo stesso standard quantitativo, di sicurezza e di qualità pur vedendo restringersi il numero dei componenti l’equipe assistenziale. Oppure di doversi anche assumere onere e responsabilità – pur continuando a garantire l’assistenza – di ridefinire percorsi e tipologia di prestazioni sanitario assistenziali visto l’inserimento nel gruppo di operatori socio sanitari che sono si qualificati ma non certamente infermieri.

L’infermiere, infatti è stato “temporaneamente” spostato per tappare le falle aperte in altre unità operative perché con le sostituzioni, se non è già in atto il blocco del turno over, bisogna essere molto parchi.

Si potrebbe anche dire che, sempre per quanto riguarda la categoria degli infermieri, le dichiarazioni di spirito fortemente interventistico contenute nella lettera all’Ue, lasciano il tempo che trovano. La messa a disposizione può essere considerata uno slogan, il blocco del turn over c’è già con le conseguenze pesanti che soprattutto i pazienti hanno potuto percepire.

La mobilità obbligatoria farà i conti con la potestà delle Regioni sull’organizzazione sanitaria e con la rabbia dei cittadini che vedono impoverirsi nella quotidianità del ricovero o della fruizione dell’offerta sanitaria, la loro aspettativa a un’assistenza dignitosa, solidaristica e a governo pubblico; non è spalmando le “miserie” che si risolve il problema delle falle e dei buchi.

Non metto nemmeno in conto di riflettere sul superamento delle dotazioni organiche: è già ampiamente attuato.
In tutto questo emerge una notevole povertà progettuale in relazione alle grandi sfide che abbiamo di fronte tra cui: il progressivo invecchiamento della popolazione con aumento della quota di grandi anziani soli; il mutamento della famiglia caratterizzata sempre più dall’indisponibilità di farsi carico di eventuali famigliari con disabilità o necessità assistenziali; l’aumento della domanda assistenziale per incremento delle malattie cronico-degenerative; lo sviluppo e impiego di tecnologie e di approcci diagnostici e strategie curative meno invasive ma che richiedono alta tecnologia e personale sempre più qualificato.

In tal senso bisognerebbe “reclutare” e non “mortificare” i professionisti sanitari tutti e particolarmente gli infermieri stante, tra l’altro, il fenomeno di shortage che riguarda il personale medico con adeguamento del rapporto medico paziente ai valori europei e conseguente necessità di muoversi celermente verso un “upgrading” della professione infermieristica.

Non è con provvedimenti di razionamento del personale che si potrà affrontare la grave situazione economica. E’ necessaria una riorganizzazione delle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali verso modelli che focalizzino l’attenzione sui reali bisogni e siano in grado di offrire ciò che serve per affrontare i problemi assistenziali. Bisogna avere il coraggio di riorganizzare, riconvertire e, perché no, anche di dire, ad esempio, che parte delle liste d’attesa sono frutto di prescrizioni/richieste lontane dal criterio dell’appropriatezza e dell’evidenza scientifica.

Gli infermieri stanno chiedendo sempre più spesso una riflessione organizzativo assistenziale: abbiamo idee, progetti, capacità e nuova cultura assistenziale e gestionale; dateci nuove possibilità. Così non ce la si può fare e noi… non ce la facciamo più!
Annalisa Silvestro
Presidente Federazione Collegi Ipasvi
Tratto da Il Sole24ore Sanità, n. 42, 8-14 novembre 2011




lunedì 7 novembre 2011

Il demansionamento - Parla la Silvestro....



La Silvestro espime un suo parere... in parte possiamo essere anche daccordo con lei.
Ma una domanda ci sorge spontanea: Se non è demansionamento allora gli OSS fanno abuso della professione infermieristica?